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N.35 Novembre 2022
Sulle corde del “Violino del mare” nasce il canto della speranza
Donato al Museo del Violino di Cremona lo strumento realizzato nei laboratori con i detenuti del carcere di Opera utilizzando il legno dei barconi dei migranti che attraversano il Mediterraneo
«Spero che il suono di questo violino sappia coinvolgere i giovani e donare loro speranza in un mondo soffocato dalla paura. Dobbiamo tornare al concetto evangelico di festa. Siamo stati creati per far festa in questo mondo. E questo legno che dona musica e profuma di rinascita, un legno che ha portato su di sé il dolore dell’umanità in fuga dalla guerra e dalla miseria, vuole essere un segno di speranza». Quella della vita che vive. Oltre le onde della morte.
Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della Fondazione Casa dello spirito e delle arti che sostiene il progetto “Metamorfosi” con il carcere di Opera; il Violino del Mare donato al Museo di Cremona; la violinista Lena Yokoyama
Il “Violino del Mare”, donato di recente al Museo del violino di Cremona, è «simbolo di una storia e frutto del lavoro di mani che intendono tornare a creare bellezza, quelle delle persone detenute che trasformano il legno dei barconi dei migranti in violini, viole e violoncelli».
Per il presidente della Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, Arnoldo Mosca Mondadori, il nome dato al progetto che ha coinvolto cinque persone detenute ed un maestro liutaio, è evocativo: “Metamorfosi”. Il violino è nato dai legni dei barconi giunti a Lampedusa con a bordo migranti, legni messi a disposizione dall’Agenzia delle Dogane. «Dovevano servirci per costruire presepi, nel 2021. Nel periodo dell’emergenza sanitaria avevamo desiderio, all’interno del laboratorio di Liuteria della Casa di reclusione di Milano-Opera, di dare un segno di nascita, nel tempo della morte. Mentre le cinque persone detenute assunte nella liuteria dalla nostra Cooperativa costruivano i presepi, insieme al liutaio Enrico Allorto hanno provato a costruire un violino, con poche assi dello stesso legno».
La tecnica impiegata risale al sedicesimo secolo, con cui si costruivano in Inghilterra le viole da gamba.
Così è nato il primo “Violino del Mare”, che ha un suono che ha stupito musicisti come Nicola Piovani e artisti come Enrico Dindo per la limpidezza del suo suono.
«La voce di questo violino è per tutti. Affinché la metamorfosi riguardi ciascuno di noi.
La metamorfosi del legno, la metamorfosi delle persone detenute che ritrovano speranza e la metamorfosi di chi, ascoltando la musica di questi strumenti, può porsi delle domande rispetto al dramma dei migranti. Perché il dolore, la speranza e le storie di queste persone – continua il presidente della Fondazione – diventino anche le nostre. Ci rendano meno indifferenti, più vicini a chi soffre». All’inaugurazione presso la sala Fiorini del Museo del Violino, le sapienti mani della violinista Lena Yokoyama hanno intonato la composizione “Canto del legno”, scritta appositamente da Nicola Piovani. Un inno denso di dolore: «È quello della nostra umanità ferita». Che tuttavia si conclude in “maggiore”, perché «la speranza non finisce». «La meraviglia della musica è proprio questa: unisce. Parla a tutti, credenti e non credenti, giovani, anziani, adulti, bambini. Rende chiaro il messaggio, oltre ogni ideologia, perché semplicemente profuma di umanità».
Quel violino che da qualche giorno apre la collezione museale cremonese «mette al centro l’uomo come protagonista di bellezza». La bellezza di persone detenute che camminano, attraverso il lavoro, verso il proprio reinserimento sociale: «Attraverso questa attività diamo concreta attuazione alla funzione rieducativa delle pena, cioè all’articolo 27 della Costituzione. Cerchiamo di dare un segnale: tutte le persone possono avere una seconda possibilità quando sono aiutate a coltivare i propri talenti e a diffondere testimonianza».
Secondo Arnoldo Mosca Mondadori: «Il sistema carcerario in Italia andrebbe ripensato». Con la persona al centro. Anche guardando fuori dai confini europei: «Prendiamo ad esempio il modello brasiliano Apac, basato su un patto di fiducia con le persone detenute e mettendo al centro i progetti. Lì largo spazio viene dato alle attività lavorative, a ciò che una persona sa fare o può imparare a fare. È un modo per coltivare autostima e imparare, di nuovo, a guardarsi con occhi liberi dal peso del giudizio». Per capirne gli effetti «basta dire che i casi di recidiva sono pochissimi». Oppure basta ascoltare quel violino, che è esempio di talenti coltivati anche qui in Italia, nel carcere di Opera.
Il progetto “Metamorfosi” porta con se’ un altro sogno: «Vorremmo creare una “Orchestra del Mare”, composta da violini, viòle e violoncelli nati dalle barche di Lampedusa e messi a disposizione delle orchestre italiane e straniere, affinché questo messaggio di speranza non si arresti più. Perché tutti ne abbiamo bisogno».