spazio
N.41 Maggio/Giugno 2023
Terra di mezzo che dà vita al nuovo
Siamo abituati a pensare allo spazio in termini di ingombri: volume, lunghezza, metri quadrati. Lo spazio come qualcosa da riempire, da occupare al massimo delle capacità.
Bene prezioso venduto a peso d’oro nelle grandi città dove un balcone di mezzo metro vale quanto una piscina in campagna.
Ci è sempre più difficile pensarlo come qualcosa da lasciare libero, perché il suo valore è ridotto alla sua commerciabilità. Gli spazi della socialità come uno spreco di risorse invece che gemme da preservare, soprattutto dove la comunità è ridotta a queste isole di umanità.
Lo spazio aperto, comune, che diventa sempre più privilegio delle riserve naturali, dei panorami che non siamo ancora riusciti a distruggere. Parchi giochi in cui circoscriviamo il selvatico per avere sempre un pezzetto in più di mondo da plasmare. E per farci cosa?
Questa urgenza di creare nuovi spazi che ci spinge su Marte, con viaggi di multimiliardari che più che testare fattibilità di spostamento certificano il loro ego smisurato. Pianifichiamo crescite esponenziali su un pianeta a cui abbiamo già strappato tutto il possibile, ma non siamo capaci di raccogliere una cartaccia in strada o in spiaggia perché non l’abbiamo buttata noi, quindi non è nostra responsabilità. Gli spazi di tutti che diventano gli spazi di nessuno.
Questa fame di riempire i vuoti invece di lascarli esplodere, provare a capirli, ascoltarli per progettare qualcosa che invece possa allargarli, trasformarli in contenuto e non mero contenitore.
Rispettare gli spazi di silenzio e avere il coraggio di andare dentro il loro significato invece di ricoprirli di rumore, che è più semplice parlarci sopra piuttosto che scoprire cosa ha da dirci.
Coltivare gli spazi tra noi e gli altri, terra di mezzo capace di garantire la vita al nuovo, uno spazio altro.