mode
N.08 Febbraio 2020
Tutti i modi di essere alla moda
Modus, un modo di essere, una foggia, alla maniera di...
Un’immersione profonda
nel tessuto sociale,
uno strumento per decifrare meglio
un preciso momento,
quel dato periodo.
La moda come il substrato
della storia,
dei secoli che parlano nei gingilli,
profumi, ricette, ricami.
Come un mistero
che si svela nei dettagli,
nei racconti del privato
che restituiscono sfumature
e umanità al pubblico.
Moda che sembra un accessorio
delle grandi occasioni
della nostra civiltà,
e invece ne riflette
brutture, vizi e ispirazioni
come nessuna cronaca potrebbe.
Una stele di Rosetta fondamentale
per comprendere meglio
società e costumi di oggi e di ieri.
Lo stesso codice ripetuto abbastanza
da essere amplificato
e considerato sicuro,
quindi adottabile e adottato
da un numero spropositato
di persone.
L’illusione di essere speciali
diventando uguali agli altri.
Il bisogno di far parte del gruppo che vince.
La divisa come corazza,
come garanzia di inattaccabilità.
Che sia la marca del momento,
il movimento.
Cosa succede quando va di moda
smettere di pensare?
Smettere di informarsi, di riflettere.
Quando “fa figo”
se il cervello lo spegni
e parla la pancia, la paura.
Quando la spiegazione
a ciò che facciamo
diventa perché lo fanno tutti.
Succedono gli estremismi,
le manipolazioni, i soprusi.
Succede che l’ignoranza
diventa un vanto
e la conoscenza una spocchia.
Succede che il diverso va eliminato,
perché il diverso è la resistenza
al piattume.
Succede la chiusura,
il razzismo, la violenza.
Portare un modo nuovo, uno spunto.
Un innesto che si è nutrito di uno, mille recuperi.
Una rottura che genera possibilità.
Movimenti che prima di diventare mainstream
si fanno portatori
di un elemento di rottura,
espressione di quel substrato
che non è ancora esploso
ma che bisbiglia alle orecchie
dei più inquieti
di ogni generazione.
Un’idea fresca che spinge a riflettere, a domandarsi,
a guardarsi da fuori.
In principio, una provocazione
per smettere di restare bendati
dentro un’abitudine,
per uscire da un’altra moda,
da quella maniera di vivere collaudata, approvata,
benedetta da secoli di prassi.
Non importa quale movimento sia.
Ci sono modi
di sentire la vita
su questo pianeta
che pur esistendo da sempre,
impattano nelle esistenze
di ognuno di noi
come epifanie, squarci di verità, visioni di vita alternative
che diventano modelli.
Essere tutto,
cambiare continuamente
per non avere mai
un’identità vera.
Il nuovo come riempitivo,
come rifiuto dello sforzo
a mantenere.
Una sfilata di cambiamenti radicali
che però non sono radicati;
e finiamo sbattuti
a destra e sinistra,
tra convinzioni estreme
che solitamente
stanno agli antipodi.
Un partito e poi l’altro,
un’ideologia e il suo contrario,
tutto e l’opposto di tutto
Per moda, per comodità.
Avere centomila opinioni diverse
senza averne nessuna,
perché tutto viene abbracciato
senza essere prima respirato,
conosciuto, domandato.
Il rifiuto della corrente che spinge,
fare come i salmoni.
Stare in piedi davanti
a quello che i venti del momento soffiano
e provare a capire
cos’hanno da dire.
Ascoltarli per bene.
Prendersi il tempo di capire
una questione,
un avvenimento,
una criticità.
Cercare di non andare sempre
e per forza
dove vanno tutti.
Cercare di non andare sempre
per forza
nemmeno contro corrente,
che diventa una posa
anche quella.
Usare la testa. La nostra,
riempiendola
non del cicaleccio tormentone del momento,
ma di conoscenza.
E da lì costruire un’idea, un’opinione, un pensiero,
restando pronti a cambiarlo, plasmarlo
ascoltando quello degli altri.
Questa sarebbe
una gran bella moda.