«Non puoi mica vivere d’aria». Lo diciamo ai bimbi che “dimenticano” di presentarsi puntuali al tavolo della cena presi come sono sul cantiere di un castello delle fiabe fatto di mattoncini di tutti i colori. Non ha la consistenza del pane, l’aria. Sembra niente, eppure senza…
Lo ricordiamo bene. Lo ricorda più di tutti il dotto Giancarlo Bosio, che in quegli infernali mesi del 2020 ha dovuto resistere all’urto del Covid; era il primario del reparto di Pneumologia (oggi in pensione), curava i polmoni delle persone. Quelli che il virus aggrediva spingendo forte fino al collasso. Senza fiato. Fino al primo respiro ritrovato, come racconta Letizia, tornata a respirare dopo una malattia che rischiava di soffocarla.
Inspirare. Espirare. L’aria dentro e l’aria fuori. Il corpo non fa da barriera, è un flusso che ci lega naturalmente, inevitabilmente alla trasparenza che ci avvolge. Una trasparenza che non è vana (come “darsi delle arie”) ma è il foglio su cui corrono le parole, l’autostrada delle particelle che ci scambiamo, il suono del vento che romba che piega e la melodia soffiata attraverso un clarinetto.
È facile non capire subito da che parte guardare quando viene la tentazione di afferrare l’aria; non si posa, lo sguardo. Vola. A bordo di un aereo dell’Aeroclub allunga l’orizzonte fino a sfumarlo, aggrappati a un velo di seta di una ballerina acrobatica che prende le forme di una lotta creativa tra gravità e libertà.