aria

N.39 Marzo 2023

RUBRICA

Aria… per non dir dei versi

Il Don Giovanni è opera simbolo del genere che porta all'orecchio musica e parole. Anche quando il sublime di Mozart incontra testi... che sublimi non sono

Il monumento in onore del compositore Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) a Vienna nel Burggarten

È noto a chiunque che un’aria è un motivo musicale vocale o strumentale di cui si serve il musicista per catturare l’orecchio dell’ascoltatore. Se si trova dentro a un’opera lirica, l’aspetto musicale prende il sopravvento, in genere l’azione si ferma, il tempo si arresta e il personaggio rivela su un testo poetico il suo stato d’animo. Se è all’interno di un’opera strumentale, l’aria si concentra in modo particolare sulla cantabilità, porgendosi all’orecchio senza parole. Nel ‘700 il termine era riferito in maniera paritaria tanto al testo che alla melodia. Né più né meno come oggi, per cui ci si avvicina a una canzone moderna mettendo sullo stesso piano testo e musica. Poiché è sempre difficile parlare di musica intesa come note quando non si conoscono le tecniche, si può forse parlare del testo in musica, magari divertendosi a mostrare come i tanto osannati capolavori del passato rivelino a un occhio spassionato anche qualche limite.
Prendiamo quello che è considerato un culmine del ‘700 musicale, il Don Giovanni di W. A. Mozart, opera di cui si è detta e descritta tutta la perfezione musicale possibile. Per il libretto, Mozart si rivolse a Lorenzo Da Ponte, oggi assurto – grazie a critici super-smaliziati – a gloria poetica del suo tempo. All’epoca si può essere pressoché sicuri che fu un paroliere di second’ordine, uno che si arrabattava con mille mestieri e intrighi e che aveva una infarinatura letteraria appena passabile. Ma quella di oggi è vera gloria? Ecco qualche esempio.

Donna Elvira, una delle tante donne ingannate da don Giovanni, entra in scena decisa a vendicarsi: la melodia di Mozart è ardita, tagliente, passa dall’acuto al grave, fende l’armonia. Se si isolano i versi, certo si resta un po’ perplessi riguardo alla loro efficacia:


“Ah, chi mi dice mai
Quel barbaro dov’è,
Che per mio scorno amai,
Che mi mancò di fe?
Ah, se ritrovo l’empio
E a me non torna ancor,
Vo’ farne orrendo scempio,
Gli vo’ cavare il cor.”


Poco più avanti, Zerlina e Masetto, giovani paesani, celebrano le loro nozze: Mozart fa prendere alla musica un andamento giocoso e popolare, con il classico tempo ternario fresco e ballabile. Certo, anche i versi su cui si basa la musica possono essere considerati folkloristiciò… forse troppo:
“Giovinette che fate all’amore,
Non lasciate che passi l’età!
Se nel seno vi bulica il core,
Il rimedio vedetelo qua!
La ra la, la ra la, la ra la.
Che piacer, che piacer che sarà!

MASETTO
Giovinetti leggeri di testa,
Non andate girando di là.
Poco dura de’matti la festa,
Ma per me cominciato non ha.
La ra la. La ra la. La ra la.
Che piacer, che piacer che sarà!”

Quando don Giovanni convince Zerlina a seguirlo, Masetto trova queste parole:

MASETTO
Ho capito, signor sì!
Chino il capo e me ne vo.
Giacché piace a voi così,
Altre repliche non fo.
Cavalier voi siete già.
Dubitar non posso affé;
Me lo dice la bontà
Che volete aver per me.

Se potrebbe essere che Da Ponte vuole far intendere un tono plebeo, don Ottavio, nobile sposo di donn’Anna, quando viene a sapere che don Giovanni ha insidiato proprio donn’Anna, esprime il suo sdegno con una musica che fa trasparire tutta la sua posa velleitaria con una melodiosità affettata. La musica riesce perfettamente nel suo intento, il testo da solo forse…

DON OTTAVIO
Come mai creder deggio,
di sì nero delitto
capace un cavaliero!
Ah! Di scoprire il vero
ogni mezzo si cerchi. Io sento in petto
e di sposo e d’amico
il dover che mi parla
disingannarla voglio, o vendicarla.

Dalla sua pace la mia dipende;
Quel che a lei piace vita mi rende,
Quel che le incresce morte mi dà.
S’ella sospira, sospiro anch’io;
È mia quell’ira, quel pianto è mio;
E non ho bene, s’ella non l’ha.

Zerlina, accortasi dell’inganno, vuole farsi perdonare da Masetto per essersi allontanata con don Giovanni: le note che trova Mozart sono di una ingenua cantabilità, suadenti ed espressive, mentre il testo di Da Ponte è il seguente:

“Batti, batti, o bel Masetto,
La tua povera Zerlina;
Starò qui come agnellina
Le tue botte ad aspettar.
Lascerò straziarmi il crine,
Lascerò cavarmi gli occhi,
E le care tue manine
Lieta poi saprò baciar.”


Quando don Giovanni viene smascherato e inchiodato alle sue colpe da donna Elvira, donn’Anna e don Ottavio, Mozart rende drammatica la musica, carica l’orchestra di effetti cupi, le voci sono cariche di pathos, ed ecco i versi:

“Traditore! Tutto già si sa!
Trema, trema, o scellerato!
Saprà tosto il mondo intero
Il misfatto orrendo e nero
La tua fiera crudeltà!
Odi il tuon della vendetta,
Che ti fischia intorno intorno;
Sul tuo capo in questo giorno
Il suo fulmine cadrà.”


La celebre serenata con il mandolino di don Giovanni è una melodia fra le più riuscite di Mozart, raffinatissima nella sua semplicità; qualità che nelle parole è tutta da vedere:

“Deh, vieni alla finestra, o mio tesoro,
Deh, vieni a consolar il pianto mio.
Se neghi a me di dar qualche ristoro,
Davanti agli occhi tuoi morir vogl’io!
Tu ch’hai la bocca dolce più del miele,
Tu che il zucchero porti in mezzo al core!
Non esser, gioia mia, con me crudele!
Lasciati almen veder, mio bell’amore!”


Nel momento finale in cui don Giovanni stringe la mano alla statua del commendatore venuto dall’aldilà per punirlo, la musica tende un laccio alla gola dell’ascoltatore, non gli lascia respiro, lo avvince e crea un clima d’angoscia; il testo tenta di fare altrettanto, con questi risultati:

DON GIOVANNI
Da qual tremore insolito
Sento assalir gli spiriti!
Dond’escono quei vortici
Di foco pien d’orror?

CORO di DIAVOLI (di sotterra, con voci cupe)
Tutto a tue colpe è poco!
Vieni, c’è un mal peggior!

DON GIOVANNI
Chi l’anima mi lacera?
Chi m’agita le viscere?
Che strazio, ohimè, che smania!
Che inferno, che terror!
……
TUTTI
Questo è il fin di chi fa mal;
E de’ perfidi la morte
Alla vita è sempre ugual.”


Forse a Mozart bastava la capacità del verseggiatore di redigere versi che poi poteva far quadrare nei righi musicali, sicuramente giocava sul suggerimento psicologico generale dell’aria, ma certo la sua musica andava molto al di là delle parole – e, per fortuna di Da Ponte – sempre mantenendosi nelle zone del sublime.