ridere
N.44 Novembre 2023
Elefanti volanti e feste “esplosive”: divertimenti cremonesi alla corte del Trecchi
Attraverso le pagine di magnifici libri illustrati, la direttrice della Biblioteca Raffaella Barbierato, ci accompagna alla scoperta delle mirabolanti serate organizzate nell'Ottocento dal Marchese
Chi immagina Cremona a metà Ottocento come una tranquilla cittadina di provincia dove la vita scorre pacifica, si sbaglia di grosso. Perché fantasia, creatività e tanta voglia di festeggiare e divertirsi erano una delle prerogative dell’alta borghesia e della antica nobiltà locale in particolare di quelle casate, i cui nomi ancora oggi riecheggiano sui palazzi delle vie del centro. E per ridere e divertirsi non si badava a spese (i documenti nell’Archivio di Stato parlano chiaro) ma soprattutto si cercava di stupire e sbalordire.
“Gondole e barche si vedevano muoversi
ed incrociarsi in tutte le direzioni,
e dopo pochi istanti, una grande peota videsi
apparire ed avanzarsi lentamente
carica di persone, di suonatori e cantori”
La descrizione di metà Ottocento del marchese Alessando Trecchi, non è di Venezia. Non stiamo parlando del Canal Grande o del molo di piazza San Marco ma del cortile del cremonesissimo Palazzo Trecchi trasformato in una piccola laguna, allagato da un velo di acqua e nel quale la scena è tutta per il Doge, impersonato dallo stesso marchese Alessandro Trecchi, organizzatore delle feste e anche redattore della cronaca di questo evento.
Un uomo istrionico Trecchi, «personalità complessa e sfuggente», come lo definisce Raffaella Barbierato, direttrice della Biblioteca statale di Cremona e custode (oltre che studiosa) di preziosissimi documenti che attestano una voglia matta di sbalordire la città con un divertimento di gran classe, ma sempre imprevedibile.
Dagli anni Trenta dell’Ottocento, Trecchi si diletta ad organizzare ricevimenti da favola tra cui «nove feste di Carnevale più altri balli o feste diverse di cui narra – spiega Barbierato – nel volume Racconti e descrizioni del Marchese Manfredo Alessandro Trecchi, redatto nel 1885, quando i fasti erano ormai lontani e i tempi stavano velocemente cambiando».
Un libretto dimesso a dispetto del contenuto esplosivo che racchiude. E il termine «esplosivo» non è casuale. Nelle stanze del Palazzo per una di quelle feste era stato ricostruito persino il Vesuvio che ad un tratto, con gran stupore dei presenti, aveva iniziato ad eruttare. «Era previsto anche l’effetto terremoto – continua Barbierato – ottenuto con qualche espediente tecnico all’avanguardia». Si trattava di eventi a tema dove tutto era stato studiato da tempo e con cura senza tralasciare nulla. «Tappezzerie, mobili, addobbi, scenografie… ogni dettaglio era curatissimo e preparato a Cremona grazie ad artigiani e negozianti locali».
Sì, perché il divertimento che nelle feste coinvolgeva fino a 400 invitati (compreso Giuseppe Garibaldi, il musicista Verdi, il pittore Vertua, la famiglia Manna, Pallavicino…), in realtà era una macchina economica che muoveva mezza città «“portando beneficio – chiarisce Barbierato – al commercio e al Paese». Come a dire che Trecchi, con queste “mascherate” aveva anche a cuore il coinvolgimento delle maestranze locali che si premuniva di citare per nome e cognome, servitori compresi, nelle sue cronache, dando più enfasi a questi che ai nobili delle casate importanti scritti nella lista degli invitati.
E poi grande spazio era riservato alla musica. Trecchi era stato anche direttore del Teatro Concordia (l’attuale Ponchielli) e conosceva bene Ruggero Manna, chiamato spesso a dirigere l’orchestra a palazzo. Infatti tra «un carro mascherato sormontato da un elefante semovente del Carnevale del 1833 e un treno sbuffante che irrompeva sulla scena in occasione di un’altra festa, c’era sempre la presenza consistente di musicisti». La banda degli Ussari, per esempio, di stanza a Cremona, più di una volta era stata protagonista di balli e cene. Avevano suonato persino vestiti da cinesi sotto una pagoda, sempre accompagnando danze a tema e mentre gli invitati sfilavano con costumi che richiamavano protagonisti di melodrammi e tragedie.
Li possiamo immaginare perché Trecchi li descrive con dovizia di particolari, ma li possiamo anche vedere perché la Biblioteca Statale di Cremona custodisce, oltre ad un volumetto con carri carnevaleschi e slitte del 1700, anche un prezioso tomo dal titolo “Costumi, vestiti alla festa da ballo del sig. conte Giuseppe Battbyany del 30 gennaio 1828” dove le stampe acquerellate raccontano di invitati che indossano gli abiti di Riccardo re d’Inghilterra, della Regina Berengaria, di Otello, del Doge di Venezia…
Non mancava un certo fascino per l’Oriente e infatti tra le stampe di questo conte milanese (alle cui feste per altro figurano presenti gli Ala Ponzone, piuttosto che i Pallavicino di Cremona) c’è la maschera del Pascià. Fascino a cui non si era sottratto Trecchi che tra una portata di branzino e una di cappone (i documenti ci restituiscono anche i menù completi di spese per l’acquisto) nel 1844 aveva organizzato una festa araba. «La sala – chiarisce Barbierato – si era trasformata nella corte di Osman Pascià (impersonato dallo stesso Trecchi) con finti incantatori di serpenti, giocolieri in costume orientale e due signorine della migliore società cremonese che eseguono un duetto al violino uscendo da due grandi vasi posti ai lati del trono del Pascià». L’ennesimo colpo di scena per strappare espressioni di meraviglia e compiacimento e per suggellare serate che in realtà sconfinavano nel giorno successivo chiudendosi con una bella colazione con la cioccolata calda.
Insomma niente da invidiare alle lunghe serate di festa dei giorni nostri.