sbagli
N.43 ottobre 2023
Farli, più facile che ammetterli
Sbagliare. Prendere un abbaglio.
Inciampare per un eccesso di luce.
Farli è senz’altro più facile che ammetterli.
Li vorremmo estirpare dalla nostra storia; se la nostra vita fosse un curriculum li metteremmo in fondo, condensati in qualche punto e imbellettati con qualche giustificazione stringata, mascherati tra le competenze IT e le soft skill – quelle che non legge nessuno.
Siamo terrorizzati dagli errori, come se fossero una Medusa il cui sguardo non va mai incrociato.
La società in cui viviamo li stigmatizza. Sbagliare non è concesso, mai. La debolezza, qualsiasi cosa significhi, la non perfezione sono il peccato mortale per cui non esiste espiazione possibile. Nessun purgatorio, dritti all’inferno.
Ci infiliamo gli occhiali da poker e tentiamo il bluff impossibile al tavolo della vita: presentarci senza macchia, sfoderare una sicurezza frenata, mostrarci invincibili con una mano fortunatissima.
A volta invece sbagliare è la cosa più giusta che si possa fare.
Perché gli sbagli sono spesso tentativi, passi che muoviamo per spostarci da dove siamo, scommesse con noi stessi. Errore significa errare, vagabondare alla ricerca della nostra meta. Il tentativo contiene in sè il seme dello sbaglio per sua stessa natura. Sbagliare ci permette di scoprire, di esplorare.
La vita su questo pianeta è arrivata per tentativi, per una deviazione della biologia dalla strada segnata.
A volte quegli errori che sfuggiamo come un virus letale li dovremmo abbracciare, abbassare le lenti scure e guardarli dritti negli occhi, senza riflessi di mediazione. Ci scopriremmo, noi e gli altri, fragili, piccoli, insufficienti.
Alleggeriti da quel carico di perfezione posticcia di cui non sappiamo cosa farcene se non postarla su Instagram e che ci incastra dietro una maschera vuota.
Gli sbagli sono la soglia nella quale non esistono chiaroscuri netti, il confine che dovremmo avere tutti il coraggio di attraversare per avvinarci alla nostra autentica, sempre mutante identità. Per scoprire l’altro oltre i suoi errori, per smettere di parlare di colpe che non servono a nulla.
Per renderci conto che nessuno è un granché, e quanto questo prenderci meno sul serio sia in realtà il modo più dignitoso e intelligente di trattarsi tra esseri umani.