frontiere

N.12 Giugno 2020

L'INTERVENTO

Le (tante) frontiere del mondo globale

Perché nel nostro tempo i confini non scompaiono, ma si moltiplicano Non solo linee di divisione ma spazi che generano identità

Se chiedete a qualcuno di disegnare una frontiera, di rappresentarla su un foglio, quasi sicuramente questi traccerà una linea. Una linea sottile.

È una linea che stabilisce un rapporto di inclusione/esclusione tra ciò che sta al di qua e ciò che sta al di là. La frontiera come linea gioca un ruolo significativo nell’immaginario collettivo: tutta la cartografia moderna si fonda su questa nozione di frontiera, intesa come una linea netta di demarcazione fra i territori. Soprattutto gli ultimi due secoli, con gli stati nazionali, sono stati dominati da questa idea di frontiera: territori separati da frontiere che definiscono, ciascuno, specifiche giurisdizioni, reciprocamente escludentesi. Lo spazio politico dello stato è il suo territorio, nel cui ambito, segnato da confini netti, lo stato stesso esercita in modo assoluto la sua sovranità.

In un certo senso, il mondo che abbiamo conosciuto a scuola corrisponde e si nutre di questa immagine e di questa concezione delle frontiere.

Eppure, la frontiera non coincide con questa rappresentazione unidimensionale. Essa corrisponde anche un’area estesa, situata intorno a quella linea.

La “linea di frontiera” disgiunge, separa e si precisa come rapporto di inclusione/esclusione; l’“area di frontiera” è invece un’area di passaggio, in cui qualcosa di nuovo e di diverso può accadere. La frontiera deve, dunque, essere sempre pensata in un’accezione relazionale, come un’interfaccia che separa, mettendo in comunicazione; distingue, aprendo varchi.

Non solo. La frontiera è certamente radicata nella terra. E tale radice “terrena” è testimoniata da molte lingue indoeuropee, dal greco al latino, alle lingue slave, all’inglese, che descrivono la frontiera come un solco tracciato sul terreno attraverso il vomere.

Ma, pur mantenendo questa forte connotazione spaziale, geografica, noi possiamo riconoscere all’idea di frontiera un’estrema pervasività antropologica e simbolica. La frontiera è anche luogo della formazione e del racconto di identità, individuali e collettive. Possiamo riconoscere una molteplicità di frontiere simboliche, immaginarie, immateriali che connotano le nostre quotidianità (come sesso, etnia, età, religione, cultura, classe sociale, ricchezza, capacità…), che si articolano nella formazione delle identità personali e sociali.

Tale inedita proliferazione di frontiere pare ancora più significativa oggi, nel tempo della globalizzazione. Infatti, nel nostro tempo, caratterizzato da una sempre maggiore unificazione e interdipendenza del mondo, le frontiere non scompaiono. Al contrario, si moltiplicano e si diversificano.

L’intensa circolazione di merci, denaro, persone, conoscenze, simboli, informazioni, non produce una scomparsa delle frontiere del mondo: è invece all’origine di una loro vera e propria diffusione.

Le persone disegnano
e trasformano le frontiere,
le aggirano o le rinforzano,
le utilizzano o le subiscono

Proprio questi processi evidenziano la necessità di ripensare le frontiere non semplicemente come i limiti territoriali esterni degli stati nazionali: le frontiere diventano spazi mobili, relazionali; diventano processi sociali, culturali e politici prodotti, ma, ad un tempo, anche in grado di produrre identità individuali e collettive.

Occorre allora prestare particolare attenzione alle pratiche socio-culturali e alla produzione culturale, intendendo le frontiere come zone di contatto e di scambio multilinguistico e interculturale.

Da una parte, le frontiere sono il risultato di dinamiche sociali, politiche, economiche; da un’altra parte, esse stesse contribuiscono a produrre la realtà, a forgiare le relazioni sociali, diventando dei marcatori identitari, simbolici. Questa funzione appare ben più complessa rispetto alla semplice relazione di inclusione/esclusione, di dentro/fuori, implicita nelle dinamiche di segregazione e nei corrispondenti modelli urbanistici (i ghetti, le varie forme di periferie, le enclave…). Entro questi spazi, le persone disegnano e trasformano le frontiere, le cancellano e le ricostruiscono, le aggirano o le rinforzano, le utilizzano o le subiscono.

Le frontiere sono “spazi vissuti” entro cui si giocano questioni oggi decisive per la costruzione e la vita stessa della sfera pubblica: identità, differenze culturali, cittadinanze, forme di convivenza e modelli di educazione.

La firma

Anna Lazzarini, cremonese, è Professore Associato presso il Dipartimento di Scienze umane e sociali dell’Università di Bergamo. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Antropologia ed Epistemologia della complessità all’Università di Bergamo. È stata ricercatrice in Filosofia morale presso l’Università Iulm di Milano. È autrice di Polis in fabula. Metamorfosi della città contemporanea (Sellerio, 2011) e Il mondo dentro la città. Teorie e pratiche della globalizzazione (Bruno Mondadori, 2013).