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N.02 Giugno 2019
Ma non venite a dirci che «l’ha presa bene»
L'inevitabile disagio di un bambino catapultato dentro la separazione dei genitori spiegato da una psicologa che ne osserva gli effetti Non sono irreparabili ma se papà non abita più qui ci sono sempre conseguenze
«In questi giorni mamma e papà si rimettono insieme». La bimba che siede di fronte a me, nello studio, ha sei anni. Da oltre due i suoi genitori sono separati e hanno nuovi compagni. «Stamattina – continua a raccontare – mi hanno accompagnata a scuola: mamma poi è andata a parlare con le maestre. Papà ha giocato un po’ con me in cortile, poi mi ha preso in braccio e mi ha portato in classe».
Era un po’ che non la incontravo. Avevamo deciso di interrompere i colloqui, poi però la mamma l’ha riportata perché a scuola manifestava una strana tristezza e non partecipava più ai giochi con gli amichetti.
Quello che mi ha raccontato non è mai accaduto. Non era stata con i genitori, non l’avevano accompagnata a scuola. Non si stavano riavvicinando. Aveva trascorso la giornata precedente con la madre, il nuovo compagno, e il figlio di lui. «Lui – riferisce ancora – è un bimbo sfortunato: i suoi genitori litigano sempre, non come i miei che adesso vanno d’accordo. E deve andare un giorno dal papà e un giorno dalla mamma…».
È il meccanismo psicologico della negazione, per il quale i bambini negano la realtà esistente e ne creano un’altra, ideale ed è una delle forme in cui si manifesta il profondo disagio di un figlio che si trova ad affrontare la separazione dei genitori.
Episodi come quello che ho raccontato si verificano spesso, anche nelle “migliori” separazioni, quelle in cui non si verificano condizioni di aperto conflitto.
Viviamo un tempo complesso, in cui una plus informazione non corrisponde ad una fattiva cura nelle relazioni, in cui tutto sembra fluido e poco definito, in cui non compaiono più limiti e confini, in cui sempre meno si sa stare nelle emozioni e nella loro fatica. Si molla.
La coppia oggi più che mai sembra in crisi, e la tendenza a lasciarsi supera di gran lunga quella a restare.
E i figli, spesso, restano lì in mezzo, incastrati in un meccanismo diabolico che all’improvviso infrange tutte le loro certezze e li vede ondeggiare da una sponda all’altra del fiume.
Il fatto è che gli adulti quasi sempre scelgono di separarsi consapevolmente, dopo un processo che porta alla rottura della coppia. I bambini no. Per loro è qualcosa di inatteso, di assolutamente imprevedibile che si trovano addosso. Anche nelle situazioni più tese per loro l’allontanamento non è un’ipotesi.
E questo ha delle conseguenze. Non irreparabili: nel tempo, se ben gestita, dopo una separazione possono configurarsi nuovi equilibri. Ma i bambini hanno bisogno di tempo per ridefinire il proprio spazio nella nuova realtà familiare, abitativa, relazionale, per definire nuovi confini e comprendere che l’assenza fisica dell’adulto non equivale a un’assenza psicologica-affettiva.
E questi tempi troppo spesso non sono rispettati dagli adulti. Basterebbe pensare all’ingresso prematuro nelle vite di tanti figli di nuove figure educative rappresentate dai nuovi partner di mamma e papà, verso i quali si sviluppa una relazione di vero e proprio antagonismo.
Tutte le coppie che seguo, sia che stiano per comunicare la loro separazione ai figli, o che lo abbiano fatto da poco, tutte riferiscono la facilità di recepire il messaggio che hanno colto nei figli. È così, per i bambini più piccoli è una situazione nuova che li ingaggia e li affascina: il papà esce di casa perché va in una casa nuova.
Nei primi mesi sembra che il cambiamento non li turbi. Poi però si trovano a vivere in due case, iniziano a chiedere “perché il papà non torna?”, aumentano i capricci, la maestra chiama a colloquio perché nota qualcosa di diverso nei disegni, i quaderni della scuola restano nell’altra casa e si arriva in classe senza il materiale… Anche questi problemi quotidiani che sembrano solo dettagli in realtà per un bambino sono pesanti da sostenere.
Nella prima infanzia la reazione è prevalentemente emotiva e il disagio compare per lo più attraverso difficoltà nel gioco, pianto, balbuzie, comportamenti regressivi come risvegli notturni e difficoltà nel distacco, ma anche punte di aggressività. Questi comportamenti rappresentano una richiesta di riattivare i legami educativi, a superare insicurezza e paura dell’abbandono. Per i più grandi, dai 6 ai 10 anni, i bambini possono facilmente mostrare solitudine, stanchezza, perdita di interessi nel gioco, disturbi del sonno, perdita di appetito, ansia, calo di rendimento scolastico.
Si tratta di segnali di uno stress profondo, paragonabile a quello subito per la perdita di una persona cara, che richiedono da parte dei genitori separati attenzione, rispetto e strategie di risposta adeguate: incontri regolari e prevedibili, gesti fisici di tenerezza.
È importante anche progettare momenti comuni: per il compleanno, la festa di fine anno, il saggio di pianoforte. Ma facendo molta attenzione perché il bimbo legge queste situazioni come la possibilità di uno sperato ricongiungimento.
Invece c’è bisogno di essere chiari, comunicare correttamente e senza equivoci. I bambini ad esempio si attendono dai genitori indicazioni di comportamento congiunte, mentre – al contrario – spesso i genitori in una fase di separazione tendono a dare riferimenti discordanti: con uno si può bere la coca cola a tavola, usare il tablet, andare a dormire tardi, mentre l’altro non lo consente. C’è il genitore che pretende troppo dall’autonomia di un figlio e l’altro che lo tratta come un neonato.
Così situazioni di forte disagio di solito si manifestano con evidenza entro i primi due anni dalla separazione. A volte diventano persistenti anche a lungo termine e bloccano la ricostruzione di nuovi equilibri, ma si tratta di casi fortunatamente non così frequenti e generalmente legati a problematiche irrisolte in casi di coppie che si separano male.
Perché se è vero che una separazione segna un passaggio traumatico nell’universo affettivo dei più piccoli, il modo con il quale i bambini si adattano alla separazione dipende, per lo più, da come i genitori stessi gestiscono questo processo.
Un processo che i figli vedono, sentono e soffrono e di cui sono parte in causa. La parte più fragile che chiede aiuto. Per questo se viene intrapresa la strada della separazione è doveroso per i genitori aiutare i figli ad attraversarla, non lasciandoli in uno stato di sospensione che crea difficoltà.
Tocca ai genitori, non ad altri. Parlare e – fondamentale – non denigrare, non costringere il bambino a scegliere. Ma metterlo al centro delle attenzioni, aiutarlo a capire. Essere lì – nonostante tutto – per lui.
Anna Bandera è psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale specializzata in età evolutiva. A Cremona collabora con alcune scuole primarie e secondarie di città e provincia attraverso progetti specifici. È terapeuta EMDR, tecnica che utilizza con adulti e bambini per favorire la rielaborazione dei traumi e delle esperienze di vita negative. Svolge attività privata presso lo studio situato in via Anguissola 15 dove organizza incontri di formazione legati a tematiche di età evolutiva e incontra bambini adolescenti e adulti.