città
N.03 Settembre 2019
La mia squadra fatta di nomi e volti
Perché (e per chi) ho cominciato a tifare la squadra della mia città E che cosa (e chi) tiene viva la passione per tutta la vita
«Ciao che squadra tifi?»
«La Cremonese!»
«Si va bene, ma intendo di squadre grandi. Quali tifi?»
«Sempre la Cremonese!»
«Ah, va beh…»
Questo dialogo, assieme ad altri, ha accompagnato praticamente tutta la mia vita, fin dall’asilo, quando ho iniziato a entrare in relazione con gli altri anche attraverso il gioco. Così è stato alle elementari, alle medie, alle superiori, all’università e in tante altre occasioni di contatto con nuove persone che anche grazie ad una semplice domanda «Che squadra tifi?» portano ad una conoscenza reciproca.
Se l’interrogativo è molto comune, quello che – nel mio caso – ha sempre lasciato spiazzati gli altri è la risposta: «La Cremonese».
Com’è possibile che una “piccola” squadra di provincia con risultati sportivi altalenanti, senza grandi trofei, senza scudetti, senza campioni dai nomi altisonanti possa attirare, all’inizio, l’attenzione di un bambino per poi diventare passione e parte integrante della sua vita man mano che cresceva?
La risposta, l’ennesima ma definitiva, è tanto semplice quanto articolata: «Non è solo un gioco!».
La passione per una squadra di calcio è molto di più dell’interesse per una disciplina sportiva.
C’è storia.
Ci sono identità e appartenenza.
Ci sono affetti e relazioni umane.
Ci sono azioni e reazioni.
Ci sono ricordi,
non solo legati alla partita in sé.
C’è un’educazione che motiva una scelta…
La mia prima volta allo stadio Zini di Cremona, settore distinti, è stata in occasione di una “partitona” del campionato di serie B della stagione 1982/1983: Cremonese-Lecce 2-0.
Avevo cinque anni.
Chiaramente considerata l’età non potevo essere andato da solo alla partita; nell’inizio della mia storia c’è la famiglia. La Cremonese era, ed è, una questione di famiglia.
C’è sempre qualcuno che ti “educa”, che ti porta a provare; nel mio caso si è trattato di mio zio Umberto, di mio cugino Massimo e di mio padre Giorgio. Perché citarli per nome? Perché la passione per qualcosa, come per una squadra di calcio, ha il volto umano, e le storie, delle persone che con te hanno condiviso il percorso fin dal principio.
Fin da subito però l’interesse non si era focalizzato sulle gesta sportive in campo, ma sull’ambiente attorno.
Tante persone che si ritrovavano assieme, accomunate da un unico interesse per una squadra e che per la durata della partita erano una cosa sola annullando le differenze che esistevano tra loro per essere tutti dalla stessa parte.
Tra tutti gli spettatori presenti fin da subito sono stato attirato da quelli che si mettevano in curva a cantare e a tifare con ancora più forza per le sorti della squadra.
Ecco ho fatto la mia scelta!
Appena l’età me lo ha consentito ho deciso di “camminare” da solo e di spostarmi in mezzo a quei ragazzi che rendevano “l’andare alla Cremo” ancora più entusiasmante e coinvolgente.
Qui inizia un percorso diverso, fatto di incontri e di amicizie nuove, spesso profonde, con un’unica radice: la passione per la squadra di calcio della nostra città.
Tutto si fonde con la quotidianità, la Cremonese è parte della vita e con tutto quello che si lega ad essa: l’attesa, l’incontro, chiacchiere, risate e arrabbiature, gioie e speranze, ma anche delusioni e dolori. Tutto condiviso.
All’apice dell’intensità c’è la partita. Ci si trova con largo anticipo sul fischio d’inizio, si chiacchiera e non solo di quello che avverrà in campo. Non si ha paura del caldo, del freddo, della pioggia e della neve…ci si prepara non solo a guardare, ma ad essere protagonisti della partita. Cori, colori, gesti diventano parte integrante dell’evento e in alcune occasioni sono l’evento.
Ci sono poi partite che non sono come le altre, addirittura per valore superano quelle gare fondamentali per conquistare qualcosa, una salvezza o la promozione, si chiamano derby e spesso affondano la loro origine in rivalità territoriali di carattere storico.
Alla fine, che si tratti di una partita “normale” o di un derby, si sta comunque compatti fianco a fianco, uomini e donne, senza distinzioni di classe sociale.
In questi anni ho avuto la fortuna e l’onore di condividere abbracci di gioia o lacrime di delusione con studenti, medici, padri di famiglia, avvocati, disoccupati, impiegati pubblici, imprenditori, operai… Con loro ho condiviso tante trasferte per seguire la nostra Cremo anche lontano da casa. La Cremonese mi ha permesso di festeggiare non solo vittorie e promozioni ma anche lauree, matrimoni, nascite…
La Cremonese mi ha fatto piangere per sconfitte e retrocessioni ma anche per la scomparsa di persone che ho conosciuto e apprezzato grazie a lei… La Cremonese mi ha permesso di apprezzare ancora di più la mia città, perché è componente integrante della sua storia, e l’essere parte di una comunità.
Anche adesso che sono cresciuto e che quotidianamente mi sto costruendo una vita coniugando assieme studio, lavoro, famiglia e affetti c’è sempre anche la Cremo.
Rileggendo queste poche righe mi rendo conto che ci sarebbe tanto altro da scrivere su cosa significa «tifare la Cremonese», ma sarebbe anche molto complesso.
Si torna così all’inizio del percorso.
«Che squadra tifi?»
«La Cremonese»
«Ah, perché?»
«Perché? Perché non è solo un gioco… è una parte di vita»