caos
N.47 febbraio 2024
L’arte “inutile” di Caos, «poesie fuori dai libri»
Incontro con Dario Pruonto, in arte Caos, racconta la sua street art, nata dal caos e impegnata a «salvare il mondo in cui voglio vivere»
Chi è Caos?
«Caos è tante persone: è mio padre che mi ha trasmesso le sue conoscenze nel campo della meccanica, è il vicino di casa pensionato che mi ha affiancato nella realizzazione dei lavori di falegnameria, è l’affittuario del box di fianco a quello dei miei genitori che mi ha spiegato come funzionano i circuiti elettrici».
Dario Pruonto, con i suoi modi gentili, il sorriso sincero, è un interlocutore piacevole e appassionante. Riesce a raccontare la propria vita e la propria arte in modo semplice e diretto; una chiarezza che non banalizza mai il mistero celato in ogni storia e in ogni opera.
Partiamo dal tuo pseudonimo, com’è nato?
«Non l’ho scelto io, anzi posso affermare che è stato lui a scegliere me. Nel periodo delle scuole superiori, in piena ricerca di un posto nel mondo, mi sono avvicinato al mondo dei graffiti. Nella mia testa di adolescente avevo il caos e, proprio quella, è stata la prima parola che ho scritto; da quel giorno è diventato il mio alter ego. Non era una vera e propria tag perché, nonostante subissi l’influenza della cultura hip hop, non dipingevo sui muri con gli spray».
Quando è avvenuto il tuo esordio in pubblico?
«È accaduto la prima volta in cui, a 19 anni, ho attaccato un manifesto con una mia poesia sui muri del quartiere. Pochi giorni prima era accaduto un fatto grave legato alla criminalità organizzata e io, in modo istintivo, avevo deciso che dovevo far conoscere a tutti il mio pensiero. Per tutelare la mia identità, e la mia incolumità, ho deciso di nascondermi dietro il mio alter ego. Ho un ricordo molto preciso di quel giorno: mi è rimasto impresso nella memoria l’odore della colla da parati e rammento con precisione il testo che avevo scritto. Prima di allora non avevo mai pensato di attaccare le poesie in strada: quel giorno, spinto da una sensazione più che da un’idea sensata, l’ho fatto».
Quindi se dovessimo definire cosa sei o quello che fai, che termine dovremmo usare?
Dario riflette, poi ammette: «Da quando ho iniziato, ormai più di dieci anni fa, ho sempre avuto difficoltà a rispondere a una domanda come quella che mi poni. Se lo dovessi spiegare a mia nonna, direi che faccio i murales con le poesie ma, in realtà, non lo so bene nemmeno io. Viviamo in un mondo che categorizza tutto e anche io ho sentito il bisogno di entrare in un gruppo. I writers però non mi accettavano perché non usavo gli spray, i poeti mi guardavano con diffidenza perché scrivevo sui muri, insomma, non rientravo in nessuna categoria».
«I writers non mi accettavano
perché non usavo gli spray,
i poeti mi guardavano con diffidenza
perché scrivevo sui muri. Insomma,
non rientravo in nessuna categoria»
Se è così complicato, allora rinunciamo anche noi. Per provare a comprendere chi sei, puoi descriverci i tuoi lavori.
«Agli esordi scrivevo poesie sui muri, in questo periodo mi sto dedicando ai tatuaggi, spesso realizzo istallazioni; diciamo che sono perennemente alla ricerca di un equilibrio tra quello che voglio dire e come lo dico, cioè la tecnica. Ripensando ad una definizione, potrei dire di me stesso che scrivo poesie fuori dai libri».
Dalle tue parole possiamo dedurre, quindi, che il tuo percorso formativo non sia di tipo accademico.
«Sono laureato, ma non in ambito artistico. Nel mio campo ho imparato tutto a livello sperimentale e dallo scambio con le persone che ho incontrato, siano artisti o persone comuni. Ho iniziato con i poster perché era l’unica cosa che sapevo fare: stampare un A4 e attaccarlo con la colla da parati. Poi, dovendo realizzare opere di formato maggiore, sono passato ad usare il plotter; quando mi sono reso conto che la carta subiva un veloce degrado a causa della pioggia, ho imparato ad usare gli stencil ed i pennelli. Successivamente, per creare interventi di dimensioni ancora maggiori, mi sono dedicato alla realizzazione di spolveri; ogni volta imparo qualcosa e lo restituisco realizzando il lavoro successivo».
Immaginiamo che anche la definizione di artista possa andarti stretta, o per lo meno scomoda.
«Per la mia esperienza, l’artista è una persona molto egoriferita, autoreferenziale, che porta una verità assoluta, intoccabile, a cui gli spettatori possono solo assistere. Io amo invece operare in strada perché il pubblico ti mette in discussione con le sue domande e osservazioni. Anzi, spesso chiedo alle persone dei luoghi dove lavoro di aiutarmi a scrivere, sia dal punto di vista semantico che pratico. Mi sembra un buon esempio Concordia, il lavoro svolto insieme a Marco Cerioli e Davide Tolasi a Cremona sul muro dell’area fieristica. Si è realizzata una sinergia tra il Comune, il Centro Fumetto, gli studenti del Liceo Stradivari e della Scuola Edile. Il coinvolgimento di questi soggetti si è attuato in tutte le fasi: dalla progettazione alla realizzazione».
Le tue opere, così legate ai luoghi dove le realizzi, pensi che vi possano apportare un miglioramento concreto? L’arte salverà davvero il mondo?
«Ti rispondo citando il poeta Franco Fortini che, negli anni ’60, affermava che la poesia è l’azione più anticapitalistica che una persona possa fare perché è inutile. In una società che insiste continuamente sulla performance e sul profitto, io sono contento di “fare qualcosa di inutile”. Non cambio le sorti della storia, cerco di salvare il mondo in cui voglio vivere».
BIO
«I miei lavori sono cortocircuiti. Creo silenziosi sabotaggi tra le architetture dello spazio urbano, rivelo i non detti di luoghi indecisi, faccio parlare i muri». Dario Pruonto, in arte Caos, è un artista pubblico e un poeta. Classe ’92, ha studiato presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera, ed è una figura di riferimento della poesia di strada italiana. La sua ricerca esplora la complessa relazione tra arte visiva, linguaggio e contesto urbano concentrandosi sui temi dell’incomunicabilità, del confine e della relazione. Nel corso degli anni ha partecipato a numerosi festival nazionali e internazionali, ed esposto in mostre collettive in Italia e all’estero.
[foto di Francesca Gemmina]