dono
N.26 Dicembre 2021
Un rene a forma di… cuore: il dono di Gino per la moglie Sara
Dopo anni di dialisi e due trapianti non andati a buon fine Sara ha ricevuto il rene del marito, un gesto d'amore che invita a porre maggiore attenzione al tema della donazione
Quando ci hanno operato eravamo in due reparti diversi. Io nei trapianti, lui in chirurgia. Ci parlavamo in videochiamata. Dicevo ai medici: “Almeno fatemelo vedere”. Quando lo hanno dimesso è venuto alla mia porta, ci siamo guardati attraverso un vetro, senza dirci niente. Ci guardavamo e basta, ci veniva da piangere perché l’emozione era forte».
Lo scorso 8 giugno Gino Ponzi, artigiano viadanese di 56 anni, ha donato un rene alla moglie Sara Marchini, di sette anni più giovane. La storia, tutto ciò che ha vissuto e superato, ha scolpito in lei un profondo senso della vita: «Io e Gino ci siamo conosciuti a capodanno 1987. Eravamo ad una festa a casa di amici, quindici giorni prima era mancato mio fratello per un incidente. Due anni dopo decidiamo di organizzare una vacanza in montagna. Imparo a sciare, ma torno con gambe e caviglie gonfie. Il medico capì subito quale potesse essere il problema».
Gli esami del sangue e tutti quelli specialistici a cui si sottopone evidenziano un problema ai reni. Nel 1992 inizia la dialisi. Sara frequenta l’ultimo anno di scuole superiori: «I medici dicevano che avrei potuto ricevere un organo da mamma o papà. Subito si propose Gino, che al tempo aveva venticinque anni. Non eravamo nemmeno sposati, tanto per capirci».
Il primo trapianto arriverà poco dopo: «Il rene però non riparte bene e rimango quasi due mesi in ospedale. Di lì a poco decidiamo di sposarci. Era il 1995. Un anno più tardi nasce nostra figlia Martina, che siamo riusciti ad avere grazie a questo trapianto».
Il 29 aprile 2004 Sara si sottopone ad un secondo trapianto: «Gli esami erano sballati. Torno in dialisi in attesa di una seconda operazione. Che va molto meglio della prima, perché dopo due settimane ricomincio una vita normale. Fino a due anni fa…».
Stesso problema.
Ad ottobre 2020 si rimette in lista. Inizia una trafila già vissuta, che si conclude nel mese di febbraio 2021: «Mi presento davanti ad una commissione formata da un medico, un chirurgo ed una infermiera. Gli esami vanno bene, ma dopo due trapianti mi dicono che ho sviluppato anticorpi che potrebbero inibire la chiamata per un nuovo trapianto. Mio marito si propone come donatore. Prima occorre valutare la compatibilità con un esame. Si chiama tipizzazione. L’esito è positivo e Gino svolge una serie di esami ematici e strumentali per capire se tutti gli organi sono a posto. È astemio ed aveva smesso di fumare tempo prima, aspetti fondamentali per chi vuole donare un rene. L’ultimo passo è stato andare in tribunale per verificare non fosse una operazione fatta per denaro. Infine, separatamente parliamo con una psicologa, che ci dà l’ok».
L’8 giugno scorso l’operazione. Prima, sotto i ferri, va Gino, ex giocatore di rugby. Ci rimane dieci ore. Sara solamente tre ed il rene immediatamente inizia a funzionare: «Ricordo il primo giorno. Feci cinque litri di pipì. La dialisi non ti permette una vita normale. Tre volte a settimana per quattro ore devi andare in ospedale. Poi soffri della cosiddetta “sindrome della prugna secca”. È come se ti sentissi svuotato. Quando i reni non funzionano ti rimane addosso tutto ciò che mangi e bevi».
La storia di Sara è quella di tante altre persone in attesa di trapianto: «Nel 1993 ricevetti un rene di un ragazzo molto giovane morto in un incidente in moto. La stessa cosa successe per il secondo trapianto. Gino invece con un rene solo può vivere una vita normale, praticare sport e fare tutto ciò che faceva prima. Deve solamente mangiare e bere come dovremmo fare tutti. Io prendo medicine, lui nulla».
Una piccola pausa per raccogliere una riflessione: «In Italia la donazione da vivente non è ancora percepita come in altri paesi. Stati Uniti e Svizzera per esempio. Li si parla di numeri attorno al 30%, da noi dell’1%. In tema donazione credo ci vorrebbe più informazione. Si dovrebbe partire dalla scuola con l’educazione civica. Per esempio non tutti sanno che rifacendo la carta di identità puoi comunicare che vuoi essere donatore».