silenzio
N.05 Novembre 2019
Quanti silenzi a questo mondo…
D’Annunzio nel pineto: parla la pioggia, ed Ermione deve tacere. Per arrivare al cuore di ciò che ha senso sentire.
Il silenzio delle stelle che bruciano e non si sentono; sappiamo che ci sono perché le vediamo splendere. E forse non sono più, ma importa davvero finché un punto illuminato sopra la testa ci conforta?
E poi quello dei cuori che si spezzano. Del dolore che non trova crepe per uscire e tradursi in sillabe e quindi tace, esplode senza far rumore. Cattedrali di ricordi da conservare.
Il silenzio dei fiori che sbocciano. Petali che si aprono al mondo senza sapere cosa incontreranno, bellezza che non reclama ascolto eppure incanta.
A volte tacere è abbastanza, quando sono i movimenti a parlare.
Un po’ come gli addii, dove da dire è rimasto tutto e non sarebbe comunque abbastanza.
Non serve alfabeto alla moka preparata la sera prima per chi la mattina si alza presto, né al post it lasciato sul frigorifero, sopra al posto sulla metro lasciato a chi ha più bisogno.
Nei grazie impastati con le cortesie piccole e gentili agli sconosciuti, ai colleghi, agli amati. Così, che a volte certe cose si trasmettono assaggiandole, senza ricette prescritte.
Il silenzio davanti a un cielo che si colora alle sette del mattino, con la città che si tira la pelle. La bocca che ritira il superfluo e lascia spazio alle percezioni per decifrare e decifrarsi meglio, più a fondo. Con sincerità, senza le imprecisioni sbavate da certi lemmi sguaiati.
Basta un sorriso al vento per ricordarsi che anche la quotidianità è una meraviglia grande.
Il silenzio della bellezza che ammutolisce.
Il silenzio di chi annega e non ha nessuno che apra la bocca per lui. Per la vita che non vedrà, per i sogni non riconosciuti. Il coraggio che non c’è e che rende tutti afoni davanti alla paura di considerarsi uguali a chi ha avuto meno. Non abbiamo mai abbastanza voce per ammettere che la sorte non guarda in faccia a nessuno, ed essere nati dalla parte giusta della strada.
I silenzi di chi ha un mondo che non sa raccontare per paura di vederselo sporcare. Per fragilità. Per malattia.
Il silenzio del giudizio che guarda dell’alto al basso e non ha il coraggio di diventare vibrazione che comunica. Perché comprendere richiede uno sforzo che non ci interessa più fare. Esporsi per difendere un’idea presuppone di averla – un’idea.
…così la sfida più bella diventa quella di essere alchimisti un po’ sfrontati, armati di tanta pazienza, un po’ di coraggio e molta umiltà, per provare ogni giorno a non accontentarsi di traduzioni preconfezionate con il fiocco della sterilità e la carta della comodità.
Per cercare di incontrare l’altro dalla sua parte, e non sempre dalla nostra.