stelle
N.04 Ottobre 2019
La danza brilla di vita nel cielo di Rebecca
La famiglia, la fede, l'Africa e quella luce che la rende unica Dialogo su e già da un palco con Rebecca Bianchi prima ballerina dell'Opera di Roma
Dove arrivano le radici di una stella? Quelle di Rebecca Bianchi affondano a Casalmaggiore, dove è nata e ha vissuto gli anni da bambina, prima di spiccare il volo in punta di piedi. Quei piedi che nei primi anni dell’infanzia hanno corso nudi sulla terra dei villaggi in Kenya e Zimbawe dove il papà lavorava come medico missionario: «Credo – ricorda con tenerezza – che questo abbia un legame diretto con la mia professione, per l’importanza che ha l’uso e la forza dei piedi e del contatto con la terra che molto probabilmente ho iniziato a scoprire là».
Poi il ritorno a Casalmaggiore. Casa. Qui oggi vivono mamma Maria Grazia, papà Gian Pietro , i quattro fratelli e i nipotini, mentre lei percorre le tappe della sua carriera da ballerina: l’Accademia a Milano, poi Roma, il Teatro dell’Opera, il ruolo di prima ballerina e la nomina a étoile. Una stella. «Forse – ci pensa – “stella” ha più a che fare con il cinema o con lo sport…». La versione francese ha in effetti tutta un’altra grazia. Sorride: «Nella danza essere étoile è più una sorta di riconoscimento gerarchico per una carriera. Credo si usi questa parola per una associazione alla luce: è una ballerina che si fa riconoscere, in qualche modo più visibile».
La voce di Rebecca arriva dolce e sicura, mentre nella stanza a fianco la più piccola dei suoi tre bimbi tiene impegnato papà Alessandro, anche lui ballerino dell’Opera di Roma, con cui ha costruito una famiglia grande come l’Italia: casalasca lei, calabrese lui, nati nella capitale i figli. «La famiglia è una scelta che abbiamo fatto con convinzione. Certo, a volte organizzare tutto, con il lavoro di entrambi non è facile. A volte bisogna mettere da parte il superfluo. Ma ogni scelta porta naturalmente a qualche rinuncia».
Così la prima ballerina riposa qualche ora in meno rispetto alle colleghe, la quotidianità di una casa “affollata” dà qualche pensiero in più: «Ma ciò che torna è davvero tanto – assicura lei -. Ho un luogo dove mi sento amata, protetta, e dove ci si aiuta a vicenda quando capitano le giornate no».
Perché anche un’étoile ha le sue zone d’ombra. «Certo, le giornate storte vanno accettate, anche se una prima ballerina ha tanta responsabilità. Il balletto dipende in larga parte dal suo lavoro. Così anche durante le prove bisogna essere al massimo, non mostrare i lati oscuri. Insomma, da fuori si vede il lato luccicante della danza, ma dietro c’è tanto lavoro».
Da dove arriva, dunque, questa luce che fa di una ballerina una stella, diversa dalle altre. «Nel mio caso credo sia soprattutto l’interpretazione. Una grande ballerina, Alessandra Ferri, dice che l’espressività è essenziale per trasmettere questa luce. Certo, poi c’è la tecnica che dà forma a questa espressione. Non funziona al contrario: non è la tecnica a creare espressività, bisogna solamente essere spinti da qualcosa che ci fa lavorare sulla forma in modo che quello che abbiamo da dire sia espresso nel modo più chiaro e più bello possibile».
Perché è da lì, sotto la pelle, che si inizia a brillare: «Al mondo – osserva Rebecca – ognuno ha i suoi tanti talenti. È qualcosa di innato, che poi va fatto crescere scegliendo le strade giuste e impegnandosi per andare avanti. Io ho sempre avuto questa volontà di fare della danza la mia espressione. Era come una forza dentro che mi voleva far parlare. Non riuscivo a parlarne, ma la musica mi faceva muovere e ballando esprimevo me stessa».
Quando a dieci anni ha scelto con la sua famiglia di iniziare a studiare danza, a trasferirsi a Milano per l’Accademia, non era solo qualcosa che “le piaceva”, non erano solo passi ed esercizio: «Era il mio modo di esprimermi. Dio mi ha fatto questo dono e devo farlo fruttare».
Forse c’entra il talento di mamma per la musica: quando Rebecca era piccola si metteva al pianoforte e riempiva l’aria della sua interpretazione. Certamenta c’entra la vita «che aiuta a trovare fonti di ispirazione, ma soprattutto il modo per dare verità a quello che esprimi. La danza, l’arte, ogni personaggio – assicura – ha sempre a che fare con qualcosa di reale qualcosa che per quanto antico ha a che fare con la nostra vita». Nell’interpretazione di Giselle, nello Schiaccianoci, o del Don Chisciotte l’étoile mette se stessa, tutta la luce che può, la profondità delle sue radici.
«Vado in scena faccia e corpo, la mia serenità è fondamentale per dare al pubblico la luce che si aspetta. Se io sono felice, trasmetto la mia gioia di vivere. Sono fortunata perché la danza mi permette di buttare via i sentimenti negativi e perché anche sul palco io sono in fondo… una donna felice».
Brilla di luce propria, ma non è una stella solitaria: «C’è bisogno di una costellazione per restare su». A sostenerla c’è la sua famiglia, quella in cui è nata e quella che ha formato con Alessandro, «il punto fermo che non si muove mai». «Prima ancora però – aggiunge – c’è la mia fede che mi aiuta a vedere ciò che ho come un dono: le persone che ho più vicino, ma anche tutte quelle che incontro per un momento sulla mia strada».
Nella costellazione di Rebecca ci sono anche gli amici, i maestri («che ti insegnano tutto, ma tra un esercizio e l’altro trasmettono anche tanta umanità»), i colleghi del corpo di ballo… E ci sono i luoghi. C’è la casa di Casalmaggiore, rimasta nei piatti che cucina, nell’accento e nella festa di Santa Lucia che arriva fino a Roma per i suoi bimbi e c’è l’Africa, come un ricordo allegro rimasto addosso: «Una bellissima idea di libertà in mezzo alla natura e tra le persone; anche una libertà di movimento, il ritmo come parte integrante del loro modo di far festa e esprimere la felicità. La povertà di questi paesi insegna lo spirito di adattamento e di condivisione, usare la fantasia ed apprezzare le piccole cose, i piccoli gesti».
Quei dettagli che distinguono, accendono luci nella massa. Anche in una metropoli: Milano, poi Roma. Il viaggio continua. «Quando esci di casa a 10 anni la distanza diventa una condizione normale – spiega Rebecca – ma questo non allenta i legami. Per me – riflette – per me è sempre stato importantissimo avere ben chiaro da dove vengo. Non sono milanese, né romana, se non riconoscessi le mie radici non sarei di niente. Nei primi anni di vita trovo le mie radici, i valori che mi hanno preparata alla vita che poi va avanti». Mentre attorno all’étoile nuove stelle si accendono ad ogni passo, e danno forma alla sua costellazione. Un carro, un animale fantastico, un eroe antico… «Non saprei che forma dare alla mia costellazione – sorride – forse è un po’ come il cielo, tutto unito. Ci sono stelle vicine che formano un gruppo, poi però accanto c’è un altro gruppo: a volte li si vede vicini, altre volte separati… Sì, un grande cielo stellato».