domani

N.07 Gennaio 2020

RINASCITA

Le rondini di Fukushima rifanno primavera

Il ricercatore cremonese Andrea Bonisoli Alquati studia i segni di rinascita dopo le crisi nucleari a Fukushima e Chernobyl

foto di Andrea Bonisoli Alquati andreabonisolialquati.com

Nei cieli di Fukushima le rondini continuano a volare. Sono il segno tangibile di una (lenta) rinascita dopo la catastrofe del 2011 che ha portato inevitabilmente con se conseguenze devastanti. Venticinque anni dopo Chernobyl, l’11 marzo 2011 il Giappone assiste, impotente, ad un incidente di livello 7, il massimo nella scala INES di gravità degli eventi nucleari. Un terremoto prima ed uno tsunami poi sono causa di un rilascio, anche in mare, di sostanze radioattive dalla centrale nucleare di Ōkuma, nella prefettura di Fukushima. Andrea Bonisoli Alquati, oggi quasi quarantenne, laurea in Scienze Naturali ed una vita dedicata alla biologia evoluzionistica e all’ecologia del comportamento, un anno dopo è sul luogo della catastrofe. Perché, nella loro tragicità, i disastri nucleari rappresentano un grande laboratorio per lo studio degli effetti delle radiazioni su un ecosistema: «Nelle mani stringevo un foglio di carta, come presentazione, tradotto in lingua giapponese. Passavo di abitazione in abitazione per osservare le rondini che nidificavano sulle porte. Alloggiavamo a Minamisoma, a venticinque chilometri dalla zona di esclusione, per entrare nella quale avevamo dei permessi. Dopo il 2012, sono tornato altre sette volte a Fukushima».

«A Chernobyl ho trovato decadimento.
A Fukushima il post apocalisse».

Il percorso del ricercatore cremonese, docente di tossicologia ambientale ed ornitologia a Cal Poly Pomona, parte da lontano. Dopo un master ed un dottorato presso l’Università degli Studi di MIilano, arriva la chiamata dagli Stati Uniti, dove inizia una brillante carriera di ricercatore, passando dall’Università di South Carolina, spostandosi poi a Louisiana State. Dal 2010 al 2013, per sei volte, è a Chernobyl per analizzare da vicino gli effetti delle radiazioni sull’Hirundo rustica, più semplicemente conosciuta come rondine comune: «A Chernobyl ho trovato decadimento. A Fukushima il post apocalisse: non l’ombra di un’anima, tutto fermo nel tempo. Sembrava di rivivere uno di quei film dell’orrore che mi avevano influenzato durante l’adolescenza. Ciò che mi ha colpito all’inizio sono stati più gli effetti dello tsunami e la solitudine di ponti, barche e piloni dell’elettricità».
I parallelismi tra le due catastrofi sono evidenti. L’intensità differente. L’intervento dell’uomo, nel tempo e nelle tempistiche, li allontana: «In Giappone abbiamo studiato la fase iniziale delle conseguenze. Da subito. A Chernobyl possiamo solo costruire una ipotesi di come siano realmente andate le cose nell’immediato. Perché, di fatto, non vi è stato un vero e proprio monitoraggio».
Qual è il ruolo della rondine nella traiettoria ideale che unisce due località distanti ottomila chilometri?: «Rappresenta un eccellente modello per gli studi scientifici. È un uccello assai diffuso, tendenzialmente torna in ogni stagione riproduttiva nello stesso territorio, nel suo stesso nido».

Nei due gradini più importanti di un percorso umano e professionale profondo e allo stesso tempo straordinario, le parole rischio e paura suonano familiari: «La prima volta a Chernobyl ho avuto gli incubi. In parte immotivati, perché il livello di esposizione alle radiazioni esterne non era così alto. Un po’ di coraggio è necessario ed è coerente assumersi una sorta di rischio professionale. Là ho smesso di fumare, proprio per giustificare il fatto di assumermi questo rischio. A Fukushima avevo coscienza di ciò che era accaduto, del significato dell’innesco della crisi. Ho vissuto la catastrofe come una chiamata, un’opportunità per contribuire alla conoscenza in una situazione di totale emergenza: il primo step è stato mappare la distribuzione dei contaminanti». Ed in questi scenari, il domani – anche quello delle rondini – è incastonato in una visione di totale incertezza: «Anche una situazione così drammatica evolve rapidamente e può tornare alla vita. Il domani per i miei studi passa attraverso concetti fondamentali come quelli di conservazione della specie e adattamento. I risultati delle analisi sulle rondini ci parlano di conseguenze fisiologiche, danno genetico e stress ossidativo. Tradotto: maggiore mortalità, invecchiamento, sviluppo di tumori e riduzione della fertilità per gli animali che appartengono alle zone contaminate». I risultati di alcuni studi pubblicati dal gruppo mettono in correlazione il numero di animali di una zona con il livello di radioattività ambientale. Confrontando quattordici specie differenti di uccelli, presenti sia a Chernobyl che a Fukushima, le osservazioni suggeriscono conseguenze maggiori negli animali giapponesi.
Esiste, nel tempo, qualcosa che si possa definire adattamento della specie a certe condizioni ambientali? «L’evoluzione, se ha giocato un ruolo, prepara le specie a un domani in queste condizioni alterate. La potenza della natura è guidata da leggi di evoluzione biologica. Le rondini sono in grado di adattarsi. Come? Attraverso una intensa selezione sessuale. La femmina seleziona il maschio così da beneficiare
la qualità della progenie». Alcune caratteristiche, come il colore delle piume, rendono il partner più attraente. Secondo alcune teorie, queste caratteristiche sarebbero indicatori di una maggior capacità di sopravvivenza tra chi li possiede: «Le rondini femmine, tra due maschi, scelgono, selezionano, quello più colorato. Le statistiche le elaboriamo noi scienziati, ma gli animali discriminano bene. La selezione sessuale direziona evoluzione, futuro, domani».
Lo scorso anno il gruppo di lavoro di cui fa parte l’ex studente del liceo classico Manin ha sequenziato il genoma della rondine. È stato il primo al mondo: «Mi considero biologo e naturalista. Orgoglioso di esserlo. Insegnare è una missione. La mia missione. Fare ricerca qualcosa di stimolante. E poi esistono ancora tantissimi aspetti da chiarire in tema di contaminazioni». Tutte queste esperienze sono documentate fotograficamente sul sito internet andreabonisolialquati.com: «Ho scattato le fotografie dapprima con un approccio documentaristico, da reportage, e poi in