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N.20 Aprile 2021
«Il tempo che serve
per far ripartire il tempo»
Incontro con Roberto orologiaio da 56 anni: un po' ingegnere e un po' artista; un po' meccanico e un po' esploratore
Il laboratorio di Roberto De Pieri sembra un mondo in miniatura dove il tempo si è fermato. Ha da poco riposto pinze, soffietti per togliere polvere ed impurità e mini cacciaviti, con i quali ha revisionato un orologio da polso di grande valore. La spatola gli è servita per aprire la casse a pressione. Con una boccetta lubrifica gli ingranaggi. L’olio all’interno del meccanismo è fondamentale perchè permette alle superfici di contatto di essere più scorrevoli, diminuendo quindi l’attrito e di conseguenza l’usura degli ingranaggi.
Roberto di anni ne ha 69 e da quando ha compiuto i sedici è orologiaio: «Mio zio lo era. Aveva una bella bottega a Venezia. Ho imparato da lui, osservando con attenzione ogni piccolo dettaglio del suo lavoro. Papà era veneto, successivamente ci siamo trasferiti a Cremona. Ho aperto il mio primo laboratorio in città nel 1973».
Ha smesso di riparare sveglie e pendoli da diversi anni: «Con l’antiquariato è una faticaccia. Mancano i pezzi di ricambio. È vero, per alcuni componenti puoi usare il tornio, ma è complesso». Gli orologi da polso: quelli sono la passione di una vita. Il banco da lavoro così ordinato, la luce sparata su quella superficie verde cinabro, gli strumenti del mestiere sempre a portata di mano sembrano ricordare come in questo mestiere occorra la manualità e la concentrazione di un chirurgo, ma anche una certa vena artistica: «Tutti i lavori di artigianato richiedono estrema attenzione ai dettagli. Quando apri un orologio non sai mai cosa puoi trovarci dentro. Il meccanismo è così piccolo che la manualità o ce l’hai oppure è meglio cambiare mestiere».
L’altra difficoltà è il reperimento dei pezzi di ricambi: «Le ditte non li forniscono più. O spedisci l’orologio alla casa madre. Oppure devi fare un lavoro di ricerca continuo tra botteghe, magazzini, negozietti, alla ricerca magari di un componente microscopico».
Dentro la cassa, una volta scoperchiata, attraverso una lente, agli occhi, si apre una sorta di miscrocosmo da esplorare: «Il primo sguardo va verso il bilanciere. Quando non funziona può essere un bel problema. Capita spesso di trovare un perno consumato, un dente rotto o qualcosa che blocca il meccanismo. Serve tanta concentrazione e a lungo. Perché una revisione può durare un’ora come mezza giornata. Per far ripartire il tempo, la regola è non contare il tempo».
Il suo è un percorso lungo 56 anni, iniziato quasi per caso: “Il primo orologio che ho fatto ripartire è stato quello regalatomi da mio nonno per la cresima. Di affascinanti me ne sono passati tanti per le mani. I Breguet sono un mito, per esempio. Hanno inventato tutto: scappamento, sfere, tourbillon. Ci sono poi ditte, ai più sconosciute, che fabbricano orologi su misura: li vuol dire indossare al polso un pezzo unico».
Negli ultimi anni sono apparsi sul mercato anche tanti falsi: «Ho imparato a riconoscerli, anche se sono arrivati ad un livello di precisione incredibile. Guardi il materiale, il movimento del bilanciere, il colore del metallo. Bisogna stare parecchio attenti».
A fare il suo mestiere sono rimasti in pochi: «Una volta conoscevi l’ora solo se indossavi un orologio. Oggi esistono i telefonini. Si è persa un po’ la passione per questo accessorio, simbolo di eleganza al pari di un bel foulard o un gioiello per una donna. Esistono scuole di formazione. Stagisti ne ho avuti. Quando i genitori mi chiedono: “quanto darà di stipendio a mio figlio?” Io rispondo: “cosa sa fare?” Noi fermiamo e facciamo ripartire il tempo, a volte anche nello spazio di un clic, ed è questo lo stimolo per andare avanti. Però occorrono passione, sacrificio, voglia di imparare. E lo si può fare solamente in bottega».