acqua
N.09 Marzo 2020
Forme d’acqua
Spettatore complice
del miracolo più grande
su questa terra:
un errore
di combinazione cellulare
che ha fatto nascere la vita.
La perfezione nata da uno sbaglio. Una meraviglia visibile
solo al microscopio,
nella distesa di brodo primordiale che ha lasciato spazio
a una trasformazione inaspettata. Un contenitore di vita impressionante,
con infinite forme, colori, e misteri che in parte ancora ignoriamo.
Un patrimonio
che stiamo distruggendo, spegnendo al grigio
i toni dei coralli
e farcendo di sacchetti di plastica
la pancia delle tartarughe
e delle balene.
La vita che lì è nata
e che lì minacciamo
di condannare a morte.
Con lo spettacolo brutale
dei cavallucci marini
abbracciati a cotton fioc.
Una trasformista
capace di farsi aria
quando il caldo sale
e di diventare solida
se il freddo la ghiaccia.
Non esiste circostanza
che la possa piegare.
Se costretta,
può passare anche tra le fessure;
si impone quando per troppo
viene innaturalmente limitata.
Le forme dell’acqua,
che sono infinite.
Plasmatrice di se stessa, impossibile da fermare.
Dovremmo fare tutti così:
diventare piccoli, piatti,
quasi invisibili
quando serve,
e poi grandi, imponenti,
per manifestare la nostra presenza
quando serve.
Adattarci alle condizioni
che l’ambiente ci impone
per sopravvivere.
Cambiare forma
per preservare la sostanza.
Che lava, che nutre, che cancella
e fa rinascere.
Quella che aspettiamo
dopo settimane di caldo torrido, quando il temporale
mescola gli odori della terra
a quelli dell’aria.
Quella che pulisce aria e pensieri,
in un circolo di vita
che non si esaurisce mai.
Particelle che evaporano
fino al cielo, e che le nuvole trasformano in gocce.
Un distillato prezioso
che ha scritto dentro
il suo percorso:
terra, fiume, mare
e poi di nuovo in alto,
in un girotondo instancabile.
Acqua come ingrediente magico
che aiuta a trasformare
il seme in germoglio,
il fiore in frutto.
Creta secca che si fa vaso,
polvere che diventa colore,
farina in un pane.
Una potenza primordiale
che stupisce e spaventa,
come le verità più pure.
Tsunami, uragani, piogge torrenziali che segnano la vita dell’uomo
e gli ricordano
la sua infinita debolezza
davanti alle forze di un pianeta
di cui è ospite e non padrone. Acqua senza la quale
non esisterebbe nulla.
Bene prezioso
che dovrebbe essere pubblico
e il cui accesso è
in alcuni Stati
quasi completamente a pagamento. Che noi apriamo un rubinetto
e qualcuno
deve chiedere il permesso
per poter averla quell’acqua.
Ci permettiamo di dimenticarla
nelle bottiglie di plastica
dentro gli zaini
e le borse della palestra,
nella doccia che va
mentre facciamo altro,
e qualcuno uguale a noi
fa chilometri a piedi
per poterne avere
qualche secchio da bere.
Un’immersione
dove i rumori si ovattano,
l’orizzonte sparisce
e sembra di poter smettere
di essere.
Come fare il morto
guardando il blu del cielo
e dimenticare di pensare.
La terapia del mare,
con i suoi odori e rumori.
Il dialogo con l’orizzonte
che senza mojito in mano
e bassi nelle orecchie
sa rivoltarci come un calzino, scavandoci dentro.
Il massaggio all’anima
che fa la pioggia che cade
tra le foglie, sui vetri, in gronda.
Una sinfonia
che spegne i brusii inutili
e amplifica
quello che abbiamo da dirci
e spesso
non vogliamo ascoltare.
E come con tutte le cose importanti la diamo per scontata,
e la inquiniamo, la sciupiamo, convinti che a noi
non succederà niente.
Convinti che comunque
sarà per sempre.
Chissà che la fragilità
che stiamo sperimentando
in questo momento
non ci svegli di colpo dall’indifferenza
verso ciò che sta accadendo
alla nostra terra,
alla nostra acqua.
Per ricominciare
a prendercene cura.