numeri
N.38 Febbraio 2023
Social media e successo: quello che i numeri non dicono
In gergo si chiamano vanity metrics, una definizione sotto la quale ricadono tutte quelle metriche che gonfiano il petto d’orgoglio ma che non sempre sono davvero indicative per chi usa i social media e vuole misurare le proprie performance
Esistono parecchie leggende metropolitane e luoghi comuni sulla Rete e sui social media. Il più difficile da debellare è probabilmente una mezza verità che porta fuori strada molti: per far bene su Facebook, Instagram & Co. bisogna avere un sacco di follower!
È difficile sostenere che questa affermazione sia falsa, perché basta guardare i numeri social delle star della musica, del calcio o del cinema per capire che quel numerino di fianco allo username conta eccome, ma la questione è più complessa.
Non a caso il numero dei follower sui social è considerato, insieme ad altre metriche di queste piattaforme, una vanity metrics, ovvero un numero molto bello da guardare e da mostrare agli altri come se fosse una sorta di trofeo o di traguardo, ma che in realtà non fornisce di per sé informazioni utili a certificare l’impatto di un profilo o di una pagina sulle piattaforme social e sui loro utenti.
Ciò che molti ignorano, infatti, è che numeri come quello possono essere facilmente gonfiati attraverso l’acquisto di follower o di interazioni, oppure partecipando ad attività di scambio di visibilità, che servono quasi esclusivamente per far crescere i contatori.
Una persona con tanti follower è dunque di sicuro un influencer o una webstar? E un contenuto con molti like o cuoricini può essere davvero considerato di successo? La risposta è ovviamente negativa, o quanto meno interlocutoria. Quei bei numeri non indicano necessariamente un vero coinvolgimento (in gergo tecnico engagement) e non garantiscono di per sé nessuna entrata economica, ma spesso possono dare una falsa sensazione di successo e distrarre dalle metriche più importanti che misurano veramente le attività svolte sui social e la loro compatibilità con gli obiettivi di un’azienda o di un professionista.
Quali sono, dunque, le metriche che contano e che fanno la differenza? Se facessimo questa domanda a un professionista del Social Media Marketing ci risponderebbe che le metriche da pollice all’insù sono le cosiddette actionable metrics, ovvero quelle che mostrano l’engagement e l’impatto delle attività sulla piattaforma e consentono di agire nel modo corretto, sviluppando concrete opportunità di crescita. Dati, questi ultimi, che aiutano le aziende a misurare e a raggiungere gli obiettivi che chiunque faccia marketing sui social media dovrebbe perseguire.
Tra le più importanti actionable metrics troviamo (a mero titolo d’esempio):
● Tasso di engagement – Average Engagement Rate (AER) ovvero il tasso di like, commenti e condivisioni rispetto al numero di seguaci;
● Tasso di viralità – calcolato sul rapporto tra il numero di visualizzazioni uniche di un contenuto e la loro condivisione;
● Tasso di conversione – calcolato in funzione del numero di persone che hanno effettuato un’azione specifica, come la registrazione a un evento o l’acquisto di un prodotto.
● Traffico verso il sito web – il numero di visitatori che hanno cliccato su un link dalla piattaforma sociale al sito.
Senza addentrarci troppo nelle questioni tecniche e analitiche, leggendo queste definizioni non è difficile comprendere che a fare la differenza non sono i numeri assoluti, ma un’analisi più approfondita che sappia evidenziare il senso dei numeri che le piattaforme tendono a mettere in risalto, proprio perché sono i più semplici da mostrare e da “vendere” agli utenti.
Metriche che vanno oltre l’applauso o la pacca sulla spalla, ma che indicano un gradimento autentico, che porta molto più frequentemente alla stretta di mano e alla conclusione di buoni affari o di collaborazioni concrete.
Per calcolare queste metriche servono spesso piattaforme e programmi a pagamento, ma per fortuna non tutti utilizzano i social per fare business e ciò che più ci interessa può facilmente essere verificato o dedotto anche “a vista”.
Basta scorrere la bacheca di qualsiasi profilo e pagina per capire immediatamente cosa succede. A fronte di migliaia di follower è lecito attendersi decine di commenti o di like, ad esempio, così come un rapporto eccessivamente sbilanciato tra reazioni (like, cuoricini, etc.), commenti e condivisioni di un contenuto devono farci sempre riflettere. Un buon contenuto, infatti, oltre a ricevere molti like e commenti sarà anche abbondantemente condiviso. È questo, infatti, che aumenta il tasso di viralità, perché ciascuna condivisione moltiplica il numero potenziale di visualizzazioni e porta quel contenuto al di fuori della cerchia ristretta dei propri contatti.
Quanto ai like o cuoricini, se questi sono gli unici numeri a crescere e se gli utenti che li portano non sono follower o contatti di chi ha pubblicato, tanto più a fronte di uno scarso numero di condivisioni, l’ipotesi che quelle reazioni siano state in qualche modo “gonfiate” è più che probabile. Lo stesso vale per i commenti, soprattutto se non si addentrano nel merito del contenuto o della discussione, ma si limitano a plateali “wow!”, “fantastico!”, “bravo!” e così via.
Altri indizi che possono farci capire quanto i numeri mostrati su pagine e profili siano autentici è il livello di interazione dei loro proprietari. I social si chiamano così perché sono basati sull’interazione e i loro algoritmi premiano appunto chi interagisce.
Quando su decine di commenti non troviamo nemmeno una risposta dal proprietario del profilo o della pagina, quei commenti potrebbero derivare da attività di scambio di visibilità o di compravendita di interazioni. Quando, al contrario, un profilo o una pagina con pochi follower fa costantemente numeri interessanti, raccogliendo reazioni, interazioni e condivisioni e ampliando costantemente la propria audience, allora possiamo essere certi di trovarci di fronte all’eccezione.
Queste condizioni si verificano, infatti, in presenza di una buona reputazione e considerazione, di una riconosciuta autorevolezza, di un gradimento diffuso e della capacità di produrre gli unici contenuti in grado di fare metriche genuine, ovvero i più interessanti, originali e utili, che generano in chi vi si imbatte quella scintilla che in gergo definiamo insight. L’insight è la comprensione profonda e inaspettata di un comportamento, di un trend o di una situazione, che può fornire nuove prospettive, idee e soluzioni ai problemi e aiutare a prendere decisioni positive e informate.
Ecco cos’è che i numeri fanno fatica a dire, se ci limitiamo a guardarli dall’esterno e nelle loro manifestazioni più epidermiche: un buon contenuto non si giudica dai numeri assoluti, ma dalla sua capacità di arrivare alle persone e di essergli d’ispirazione al punto che esse siano disposte a farsi carico della sua diffusione presso altri contatti ugualmente interessati. È questo il segreto alla base della viralità dei contenuti, clamorosa o relativamente piccola che sia. Quello che un tempo chiamavamo passaparola e che, allora come oggi, porta alla conoscenza di molti i contenuti che hanno le caratteristiche per interessare, essere utili o piacere a molti.