sfide
N.27 Gennaio 2022
Femminilità ferita e ritrovata: la sfida di Chiara con l’endometriosi
Il freddo, la paura, i pregiudizi, le cadute e il desiderio di ritrovarsi con la danza. La sfida della ballerina Chiara Pedroni profuma di vita: «Ed è la più bella di tutte».
Il gelo di gennaio si avverte di prima mattina. Sfiora la pelle e penetra. Fino a quando i movimenti si fanno leggeri, come in un racconto: la storia della sua vita. Chiara Pedroni è stata campionessa italiana di danza sportiva paralimpica. Balla ovunque, a bordo della sua sedia a rotelle. Anche nella piazzetta davanti casa. Sfida il freddo, con indosso una giacchetta piena di colori.
La musica non serve: «Il ritmo fa parte di me». Danza, immaginando le note de La notte di Arisa. «La melodia è dentro di me. Parla di me, della mia storia, del mio dolore. E della forza di proseguire».
Volteggia. Usa le braccia «al posto delle gambe». Si muove rapidamente «come i pensieri. La danza aiuta la mente a volare in alto». Non nasconde i limiti «permette a ciascuno di esprimere le imperfezioni: quelle che ci rendono unici. Viviamo in una società che ci vuole tutti uguali: belli solo se omologati. Io credo, invece, che la bellezza sia ovunque: in un pezzo di cielo, in un angolo di vita».
In una strada percorsa a bordo di una sedia a rotelle. «Con l’endometriosi».
«Ho sempre voluto guardare il mondo con gli occhi a cuore. Ho imparato ad amare ciò che resta, piuttosto che piangere per ciò che la malattia mi ha tolto».
C’è vita anche senza. «C’è vita sempre».
L’inchiostro scolpisce sulla pelle un desiderio, quasi all’altezza del cuore: voglio vivere da morire. È il riflesso di tasselli ritrovati. Di chi continua, anche controvento. «La verità è che la malattia mi ha distrutta. Ad un certo punto non sapevo più che fare. Ho perso chili, capelli, denti. Mi sono sentita privata di tutti quegli aspetti che conferiscono ad una donna le armi per piacersi, prima che per piacere agli altri. Ho messo da parte la femminilità, il desiderio, la voglia. L’endometriosi mi ha spenta. Mi sono chiesta: Chiara, ma se non puoi mettere al mondo figli che donna sei? Oggi ho capito che sono completa, ma non è stato un percorso facile. Le mie giornate erano piene di dolore. Poi ho fatto spazio al primo taglio di capelli a casa, alla tinta, al tatuatore».
Ai colori, alla vita.
Nonostante gli esami, le visite, le carte, la diagnosi tardiva, gli interventi. Secondo i dati riportati dal Ministero della salute l’endometriosi interessa in Italia 3 milioni di donne. «Comporta dolori pelvici con cui ho imparato a convivere anche 24 ore al giorno. È una malattia subdola e spesso sconosciuta anche dagli specialisti. Esistono diversi stadi di gravità, molte donne neanche sanno di averla perché ci hanno insegnato che dobbiamo soffrire. Che i dolori durante il ciclo mestruale sono la norma. La realtà è che quando stiamo male dobbiamo indagare».
Spesso la ricerca è complessa. Equivale a sbattere contro un muro. «Vivere con l’endometriosi oggi per me è una sfida… o una sfiga. Del resto, è solo una questione di consonanti. Da un lato non voglio arrendermi, dall’altro devo fornire quotidianamente giustificazioni rispetto alla mia condizione. Fatico a far comprendere che per me la carrozzina è vita, ma io desidero una vita ordinaria. La società oggi è ancora portata a pensare che le persone con disabilità siano incapaci di fare, debbano essere accudite e non possano avere un lavoro, passioni, interessi e relazioni sentimentali. Non è così. Non siamo eroi se dimostriamo il contrario e non meritiamo di essere invisibili per un’etichetta che ci è stata apposta: siamo esseri umani. Come tutti».
La vita, del resto, è «una sfida per tutti: estremamente dura, ma tremendamente bella. Lo è sempre. Da quando apro gli occhi a quando li chiudo la sera. Lo è perché non ho un lavoro e non so cosa sarà del mio domani. Non ho un compagno e non so con quali occhi mi guarderanno le persone che incontrerò per strada. Perché l’ignoranza è una brutta bestia, il più grande ostacolo al progresso umano e sociale. All’amore e all’accoglienza, alla sorellanza tra donne. Lo è, perché, in fin dei conti sono sola. Sono io l’unica persona che può fare la differenza con il desiderio di alzarsi al mattino e la capacità di chiedere aiuto. Di diffondere amore, nonostante tutto. L’ho capito quando ho smesso di attribuire all’endometriosi meriti che non aveva. Se ho incontrato persone, conosciuto storie e fatto strada è solo per merito mio».