bambini
N.21 Maggio 2021
Dove è giusto dirsi
«non ce la faccio»
Il malessere diffuso tra bambini e adolescenti non cresce solo a causa della pandemia Il Covid ha messo sotto la lente fragilità che hanno radici profonde ma anche una rete capace di ascolto e cura Ne parliamo con due professioniste del Centro di Neuropsichiatria infantile di Cremona
Niente di nuovo, per il centro di neuropsichiatria infantile dell’Asst di Cremona. Nella sala d’attesa di via Santa Maria in Betlem, a Cremona, bimbi, ragazzi e genitori aspettano portando nel petto il peso che gli specialisti degli ambulatori conoscono bene. «L’aumento delle forme di disagio di bambini e adolescenti era già chiaro nel 2019. Il Covid? Ha forse accelerato i processi, ma i risultati si vedranno sul lungo periodo».
Patrizia Galli, psicologa, e Lara Bez Anibi, tecnico della riabilitazione psichiatrica, si sono fermate alla fine del turno per raccontare il loro lavoro. «Il malessere esisteva già prima della pandemia – spiegano – ora è come se fosse finito sotto la lente di ingrandimento».
Da più parti si legge di aumenti repentini degli accessi ai centro come quello cremonese in altre parti d’Italia, di un’allarmante crescita dei fenomeni di autolesionismo tra gli adolescenti, di tentativi di suicidio e di disturbi psichici tra i giovanissimi: «Questo tipo di vulnerabilità osserva la dottoressa Galli – esisteva già e stava già crescendo. Non abbiamo ancora ricerche complete e definitive su quale potrà essere l’impatto della pandemia sugli affetti e sulle menti dei ragazzi».
Non ne fanno una questione di dati. Quelli arriveranno, saranno studiati e affrontati. Intanto però nella stanza da cui si stanno collegando per la video intervista ogni giorno incontrano straordinarie «singolarità»: figli e genitori con il loro carico di paure, le difficoltà nel misurarle e dar loro nome e forma, le richieste di aiuto.
«Il malessere che incontriamo – riflette Lara Bez Anibi – riguarda i minori ma anche le loro famiglie: stress, ansie, paure profonde che riemergono… Chi era già vulnerabile ha risentito di questi mesi più di altri. E in modo molto concreto, legato alle difficoltà economiche, alla perdita del lavoro, alla condivisione forzata di spazi vitali ristretti».
E dove l’equilibrio è più sottile, è più difficile reggere alle raffiche della realtà: se la mamma lavora alla cassa del supermercato e il telegiornale non fa che mostrare il dilagare e le conseguenze dolorose del contagio, il ragazzi hanno paura. Paura per la mamma, là fuori, mentre “io sono chiuso qui, impotente”. «E il bisogno naturale di un adolescente di staccarsi dai genitori diventa più difficile, subentra l’istinto di protezione, l’ansia del pericolo».
I moti dell’anima; gli spigoli della mente.
Il lavoro del centro di Neuropsichiatria di Cremona è quello di leggere i sintomi per riconoscere l’origine del disagio e curare il malessere. «È importante – sottolinea Galli – riconoscere precocemente questi segnali. Quando si arriva qui da noi il problema è già in una fase avanzata, mentre esiste una sorta di “zona grigia” di situazioni non conclamate che non arrivano ai servizi».
Come fare? «Esiste una rete sul territorio di cui anche noi facciamo parte con le nostre professionalità. Ne fanno parte i consultori, il servizio dipendenze dell’Asst, i pediatri e i medici di medicina generale. E poi le istituzioni scolastiche, i servizi sociali…». Un sistema di alleanze chiamato a sostenere le famiglie nell’affrontare le fragilità che emergono, a volte silenziose. «La cura è un lavoro continuo e diffuso: i ragazzi hanno una vita fuori dai servizi di cura e diventa fondamentale rafforzare il dialogo con chi li vede nella quotidianità. Penso a oratori, società sportive…».
Non è però soltanto un lavoro di screening sul territorio. Si tratta della generazione di un ambiente capace di prestare attenzione e di accogliere: «Questa rete – spiega con un’immagine efficace Anibi – diventa il contenitore dove è giusto dirsi “non ce la faccio”. Spazi di quotidianità in cui non c’è la paura di essere etichettato come “matto”».
Perché il Covid – guardandolo dalle finestre di questi ambulatori che danno le spalle al centro cittadino – è come se avesse calato tutti noi in una sorta di “adolescenza della società”: «È quell’età – aggiunge Galli – in cui siamo calati in un momento di incertezza, in cui però sentiamo la possibilità di crescere. È un’età insieme di crisi e di sviluppo, in cui la difficoltà lascia qualche ferita in più. È il momento in cui essere d’aiuto».
Gli uni per gli altri, senza negare la fatica e il dolore, ma affrontandole insieme. Con la ragazzina fragile che durante il lockdown ha trovato modo di mettere in pratica la propria responsabilità occupandosi dei nonni, portando la spesa sulla loro porta. Prendendosi cura. O quell’adolescente che ha scoperto di saper cucinare e ha iniziato a farlo per gli altri. Con uno dei tanti “ritirati sociali” che cresceva ai margini del suo mondo, e che nella fine della dad ha trovato una possibilità nuova di ricominciare da zero, di tornare nella vita reale che per un tratto di strada ha escluso anche i compagni di classe, i coetanei, gli “altri”.
Oggi abbiamo imparato (o almeno dovremmo) che «la fragilità è di tutti ed è un momento di passaggio. Solo un modo diverso di emergere delle nostre paure».
È uno squarcio di luce parlare con Patrizia e Lara: «Nella crisi le risorse buone, che erano nascoste, trovano la spinta di esprimersi». Non è sempre così, a volte serve più tempo, più fatica, la pazienza di aspettare la fine di un tunnel che sembra non finire mai e non fa che accrescere il senso di incertezza. Le due professioniste affrontano da sempre i mostri della solitudine, condividono la fatica dei figli più fragili di questo tempo. Scavano alla ricerca delle radici del dolore che uccide i desideri. Il Covid ha accelerato, premuto più forte. Ma ci sono ragioni più lontane, nascoste dietro maschere più difficili da riconoscere: «I nostri ragazzi – riflette la dottoressa galli – hanno modelli di riferimento ipertrofici: solo belli, capaci e vincenti. Chiedono troppo alle loro vite e muovono un senso drammatico di inadeguatezza. “Non ce la faccio… non sono popolare…”: molto spesso attacchi al proprio corpo e a sé stessi nascono proprio da qui».
Lo sguardo della cura deve avere orizzonti vasti come la vita di un adolescente: i suoi bisogni, la famiglia, il lavoro di papà, la scuola e lo sport, la rete di amicizie, le diseguaglianze sociali, le abitudini “virtuali”… Un mondo enorme. E loro così piccoli. E noi così piccoli: «Tutti possiamo trovarci in difficoltà. Però ci siamo – alza gli occhi oltre il bordo della mascherina Lara Bez Anibi – e dobbiamo sapere che non siamo dei Rambo. Ci serve aiuto. La fatica può passare. Il dolore può finire». Adulti e bambini; terapisti e “ragazzi fragili”: «Nel rispetto dei ruolo, ma assumendoci insieme la responsabilità di andare avanti».
È questo il segreto delle famiglie che escono dai momenti più critici: «Si mettono gioco tutti insieme. Ciascuno per la sua parte, tutti dalla parte dei più vulnerabili». È il segreto di tutto: è custodito in via Santa Maria in Betlem. Dove la vita è più fragile. E dove batte più forte.